domenica 27 gennaio 2013

 
Questa settimana sono stata ossessionata dai manga.
No, non come sempre. Peggio.
Ho letto manga ovunque, anche mentre guidavo, tra un semaforo e l'altro...
A casa, in cucina, in bagno, mentre mi facevo la manicure. Ho trovato manga nascosti tra gli alberi, sotto al letto, dentro alle patatine del fastfood, spuntavano dalle borse degli altri, dagli occhi dei miei clienti, le pagine si nascondevano tra il mascara e le ciglia delle mie amiche.

Se non ci credete, date un occhiata.

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Scusate ma mi resta solo piu mezz'ora per finire l'ultimo numero di Living Together prima di andare al lavoro quindi, buona domenica a tutti e buon inizio settimana.
Se non sapete cosa fare andate a vedere "Cloud Atlas" al cinema, leggetevi un quotidiano, apprezzate le piccole cose della vita, ma non fate come me :-)
Perchè le passioni ossessive sono fonte di incredibile piacere, ma, talvolta ti impediscono di finire quello che ........................

domenica 20 gennaio 2013





Metti un ragazzo cresciuto ad Astoria, nel Queens, uno dei quartieri più malfamati di New York, che vive la sua  adolescenza a cavallo tra gli anni 60 e 70. Il ragazzo, figlio di emigrati (un nicaraguense e una irlandese) cresce in una condizione piuttosto difficile e passa un’infanzia che, con un eufemismo, potremmo definire ‘burrascosa’. Per lo meno,  riesce a non farsi ammazzare e a trovare pace solo molti anni dopo quando scrive un romanzo autobiografico in cui racconta le sue esperienze all’interno del quartiere degradato, romanzo intitolato ‘Guida per riconoscere i tuoi santi’.
Quel ragazzo è Dito Montiel. Un bel giorno un affascinante signore entra in libreria e compra il libro di Dito, lo legge e se ne innamora, va da lui e gli dice
-Dito, questo libro deve assolutamente  diventare un film.
-Ma, sai, mi piacerebbe molto, visto che nel frattempo ho anche preso qualche nozione da regista, ma come lo produciamo?
-Non ti preoccupare per i soldi, penserò io alla produzione, ma ad un unica condizione, voglio la parte del protagonista.
- Va bene la parte è sua, signor Robert Downey Junior.

Ecco come è nato “Guida per riconoscere i tuoi santi” , un film del 2006 che per le tematiche potrebbe ricordare The Sleepers. È la storia di uno scrittore di successo che non torna a casa sua da un pezzo e lo fa solo quando sua madre lo chiama per dirgli che il padre sta morendo; ma tornare significa rincontrare i pochi amici rimasti non ancora morti o in prigione e fare i conti con un passato dal quale era fuggito.
 
 
Alla 63esima mostra internazionale del cinema di Venezia questa pellicola ha vinto il premio della critica e anche il premio speciale della giuria del Sundance per la miglior regia. Persino Sting e Chazz Palminteri hanno messo mano al portafoglio perchè hanno creduto in questo progetto indipendente. Un bel debutto insomma.


Ecco perché l’altra sera, quando ho visto che  su Raidue trasmettevano  “No one son”, sempre di Montiel, ho resistito al  calduccio del mio lettino e sono rimasta sveglia a guardarlo. Il film racconta la storia di un poliziotto che comincia a ricevere lettere del genere “so cosa hai fatto” e ancora una volta un segreto nascosto durante l’adolescenza torna a bussare alla porta del protagonista.  Nel cast: Ray Liotta, Juliette Binoche, Al Pacino e Channing Tatum. Pensavo che quest’ultimo sarebbe stato schiacciato dall’affiancamento con questi mostri sacri e invece mantiene un profilo molto basso e umile e il risultato è onesto, veritiero e molto intenso.
 
Consiglio entrambi questi film, anche se il primo è più brillante e il secondo un po’ piu lento, la qual cosa non è assolutamente una discriminante, ma solo un’indicazione oggettiva per aiutarvi a scegliere a seconda del vostro palato.
 
(Vorrei essere cosi brava da esprimere la sensazione che si prova a guardare certe immagini… deja vu? Sensazione di casa? Non saprei. Guardando questi film però, sopratutto il primo, sono negli anni '70, sono li con loro per le strade del Queens, con i miei pantaloncini corti, rossi, e una canottiera bianca, appoggiata ad uno dei muri beige dei palazzoni, guardo gli altri ragazzini giocare con gli idranti in un torrido agosto, e gli sorrido, perchè la strada è la nostra casa. Non so spiegare queste sensazioni, non so spiegare perché mentre guardo, mi ricordo di un odore in particolare, l’odore dell’acqua che evapora dal cemento, l’odore che sento nell’androne buio che attraverso per rientrare a casa, ma quando un film mi fa viaggiare così tanto, è un ottimo segno. O forse sono semplicemente andata).

Comunque... li consiglio perché le storie di Dito sono vere, perché lui è uno scrittore che è riuscito a lavorare egregiamente non soltanto con le parole ma anche con la parte visiva della propria immaginazione, e in questa capacità c’è di sicuro del talento. Mi è piaciuto molto il suo saper  rievocare il passato in maniera nostalgica ma disincantata. Mi è piaciuta l’ossessione di voler conciliare la violenza che a volte ci troviamo dentro al cuore (come dicono i Muse). E mi è piaciuta la certezza che se sei stato obbligato ad assaggiare l’amaro più intenso contro la tua volontà... l’amaro medio quotidiano, di cui con tanta facilità ci si lamenta,  può diventare addirittura dolce.
Dalle trame dei due film appare chiaro che il nostro amico Dito ha una poetica di base autobiografica, caratterizzata dal malessere che si prova quando si ha un segreto da occultare. Segreti nascosti perché inconfessabili, perché te ne vergogni, perché anche se frutto di un abuso e quindi innocenti, una volta tirati fuori prendono forma e diventano reali. E alla fine ti fanno sentire in colpa lo stesso perché soffocandoli stai  negando a te stesso  la possibilità di intraprendere un processo di guarigione.
 
Il rimaneggiamento del  passato diventa terapeutico. Romanzare la realtà implica la voglia di rimanere attaccati alla parte buona della vita con le unghie e con i denti,  di trovare i “santi” in mezzo al male, quelle persone che seppur appartenenti al passato (cristallizzate nelle nostre menti nel loro momento più profondo o più disperato)  diventano solide ed eterne, per quanto umane e fragili, e per questo ti aiutano a vivere la vita quando si fa incerta e aspra. Loro sono i tuoi santi, il tuo punto di riferimento. A volte se ne vanno, ma ti accompagnano per tutta la vita. Mi piace pensare questo, perché non riesco a trovare un significato all’esistenza se non inserendola in un contesto di eternità.
Mi ricordo che avevo comprato questo film qualche anno fa, proprio perché incuriosita dal titolo e perché Rolling Stones ne aveva parlato bene. Mi chiedevo cosa volesse significare quel titolo così insolito.
Ora che ho incontrato i miei santi, ho capito.

venerdì 11 gennaio 2013





Qualche sera fa ero nel letto ma non riuscivo a dormire. Non mi succede mai. Di solito quando appoggio la testa sul cuscino, leggo due pagine e svengo col libro in faccia e la luce accesa. L'altra sera invece niente, continuavo a leggere una pagina dopo l'altra sperando che ad un certo punto sarei passata dalle parole all'oblio, ma arrivata a "una certa"... ho capito che era meglio prendere atto della temporanea dipartita di Morfeo e affrontare l'insonnia in maniera costruttiva.
E così mi sono alzata e sono andata in cucina a farmi un tè. Poteva essere l'una, e su Rai Movie stava per cominciare "Bronson" (film in precedenza caldamente raccomandato dai miei cuoricini londinesi Luna e Angelo!) e quindi... che fai, non lo guardi?
Per fortuna che l'insonnia ha avuto un tempismo perfetto con me.
 

Che bello. Il regista è lo stesso di "Drive", Nicolas Winding Refn, quindi già solo per quello poteva valerne la pena, e invece non basta, perchè la parte di Bronson è stata affidata a Tom Hardy ( Black Hawk Down, The Pusher, Rocknrolla, Inception, The Dark Knight. Elegante, rude, sfrontato, capacissimo attore in più tatuato al punto giusto...  Devo continuare?)

Bronson è lo pseudonimo di Michael Gordon Peterson, il detenuto più famoso d'Inghilterra, personaggio reale, tutt'ora in vita e recluso. Un prigioniero discusso, tanto che in Inghilterra il film è stato fortemente criticato dalla gente, proprio perchè alla fine della pellicola ti ritrovi ad amare un personaggio che è costato molto caro, nel vero senso della parola, alle casse del paese. Non sta a me dire se Michael è un personaggio positivo o negativo. Quello che mi ha colpito è la sua vitalità, la volontà di non arrendersi, di non piegarsi, di non fare ciò che gli altri si aspettavano da lui. La volontà di evadere e di riuscire a farlo anche per mezzo della ribellione e dell'arte.
Quante volte vi è capitato di fare qualcosa non perchè lo volevate veramente, ma perchè era esattamente  ciò che tutti si aspettavano ? Andiamo, non mentite, ognuno di noi lo ha fatto almeno una volta e non c'è da vergognarsene, perchè questo non ci rende meno forti, solo che ci fa scendere a compromesso e i compromessi, per quanto essenziali alla sopravvivenza del genere umano, nascondono nel loro interno il germe di una compravendita,  do ut des,  e in questa piccola transazione bilaterale lasciamo sempre qualcosa di noi stessi, ma visto che non stiamo parlando di soldi bensì della materia di cui sono fatti i nostri circuti cerebrali, beh forse sarebbe meglio pensarci un attimo. A volte è davvero difficile deludere le aspettative altrui, non per puro altruismo o senso del dovere, ma perchè spesso gli altri, a livello inconscio, si trasformano nello specchio delle nostre azioni, lo specchio sociale, l'immagine di noi stessi visti dall'esterno, noi, per un attimo, nel momento della percezione, momento che ci rende reali, concreti . In quei momenti ti sembra giusto, quasi sacrosanto, andare in una certa direzione.
Io penso che ci voglia coraggio per essere se stessi, per inseguire in maniera sana e positiva la propria unicità. E anche per vivere i propri sogni.
Una mia cara amica, per esempio, sta per lasciare un posto di lavoro molto sicuro e ben pagato per trasferirsi in Grecia. Perchè? Perchè lei vuole il sole, perchè suo papà è greco e forse la terra sta richiamando a sé il suo sangue, forse perchè il suo primo grande amore le ha detto "vieni a vivere qui" e prima che lei lo facesse se n'è andato in un incidente in moto, o forse perchè semplicemente vuole vivere in costume ed infradito per buona parte dell'anno...
Non importa molto il perchè, ma lei sente da sempre di doverlo fare e ora sta concretizzando questo progetto. Non è un'ereditiera e tanto meno una studentessa in Erasmus. Lei si sta giocando davvero tutto.

Facile banalizzare "Eh, certo, chi non lo vorrebbe, sole, mare, il famoso mollo tutto e apro un chiosco sulla spiaggia... certo che se tutti andassimo a vivere al mare..."
Intanto lei lo sta facendo e ci vuole tanto coraggio a lasciare la sicurezza della terra ferma per salpare l'ancora e affrontare un mare sconosciuto. Poi magari la vita ci mette del suo e ti va pure male, lo so, lo sa anche lei, ma lei continua a ripetermi "davvero potresti vivere senza averci provato"? Moltissimi potrebbero farcela. Altri no.
Ed ecco il punto: Bronson rappresenta quelli che non riescono a vivere senza averci provato. Provare a fuggire, a ribellarsi, a reagire.


Questo film mi ha fatto pensare a tantissime cose, e dentro a questo film ci sono troppe immagini che mi sono piaciute : la camminata di Hardy che simula quella di un lottatore, distrutto ma non sconfitto, affranto ma non abbattuto; c'è il rapporto con i folli, (cliccate qui e guardate il video strepitoso) il rapporto con la pazzia, che da sempre mi interessa moltissimo e non perchè fa figo essere pazzi o un po' svalvolati, ma perchè nella follia si nasconde un rapporto piu diretto con l'io,  un contatto con se stessi alternativo, proveniente dalle proprie paure e proprio per questo, libero da esse. C'è il confine tra pazzia e sanità, tra allucinazione e realtà, linea che ho sempre immaginato molto più sottile di quanto la maggioranza creda.

Ma sopratutto in questo film c'è ciò che più mi interessa e cioè l'uomo, l'uomo come soggetto sotto pressione e costantemente provato dalle forze del destino per dimostrare a se stesso di cosa è fatto e da che parte vuole stare.
Dobbiamo tutti schierarci prima o poi, non è possibile evitarlo. Schivare i colpi, evitare la sfida, significherebbe essere dei non morti, intrappolati in uno stato di qualunquismo vegetativo.
Se penso al fatto che molti si sono arresi mi viene voglia, come al solito, di precipitarmi a fare la valigia per partire, per mettere distanza tra me e la mia fame esistenziale


 ... per correre tra le braccia dell'ignoto, lo stimolante, pauroso, magnifico ignoto.



domenica 6 gennaio 2013

 









Vi ricordate il film degli anni 80 "La Mosca" ?
L'ha fatto Cronenberg.
Sempre lui.
La Mosca è un film a tratti disgustoso ma è proprio una delle caratteristiche fondamentali di Cronenberg quella di scandagliare a fondo le paure umane legate alla decomposizione del corpo e alla morte. Eppure quel film non è solo interessante, è addirittura piacevole perchè evocativo di un'epoca lontana, gli anni '80, gli anni della mia infanzia.
Ed è così che ti affezioni ad un regista, e poi vuoi vedere tutti i suoi film, per il potere di suscitare qualcosa dentro di te, un ricordo, una sensazione sopita, nascosta, dimenticata. Un po' come quando ci si innamora, non sai di preciso cosa ti piace nell'altro (io per esempio difficilmente mi innamoro di uomini oggettivamente belli) ma sai distinguere chiaramente le emanazioni che ti provengono da quella persona, quasi sempre lontane dalla perfezione o da ciò che razionalmente sarebbe più indicato per la tua sopravvivenza fisica, ma quelle strane emanazioni fanno bene all'anima e, che appartengano a vite passate o più semplicemente a parti di noi stessi che seppelliamo o perdiamo lungo il cammino, sono intuzioni geniali che non hanno mai torto e che il cervello a volte rifiuta o scarta, ma che le nostre mani e i nostri occhi  riconoscono quasi sempre.
Così, sulla scia del mio amore assurdo e irrazionale per il maestro del body horror, questa settimana ho guardato "Cosmopolis" pellicola fatta a pezzi da parecchi critici per via della presenza del famigerato ex vampiro Robert Pattinson.
Per scrupolo sono andata a fare un po' di ricerche e ho scoperto che non tutta la critica ha bocciato il film in toto, anzi per fortuna molti, che ne sanno piu di me, sono stati positivi nell'esprimere giudizi sia sul regista che sul beneamato teen idol.
A me personalmente non dispiace come recita Pattinson: è solo vittima del giustificato pregiudizio da block buster legato alla saga vampiresca. In realtà già in un altro film,  "Bel Ami" (regia di Donnellan e Ormerod, tratto da un romanzo di Guy de Maupassant, uno dei  dieci libri da leggere prima di morire) fa bene il suo lavoro insieme a quello schianto di donna che risponde al nome di Uma Thurman (sarà terrestre o aliena?)...
In Cosmopolis risulta ben preparato, algido e cinico quanto basta per ricoprire il ruolo di un personaggio ambiguo, un eccentrico e annoiato antieroe. Chi gli rimprovera peccati di staticità dovrebbe sapere che questa è la risposta alle richieste di Cronenberg che ha deciso di dirigerlo in questo modo, chiedendogli di non strafare con le espressioni facciali, ma di conservare una compostezza esteriore che entrasse in contrasto con il tumulto psicologico appena percepibile sotto al sorriso sghembo tanto caro all'attore inglese, e al popolo britannico in generale, che dio li benedica, li amo tutti.
Comunque non voglio fare l'apologia di Pattinson. Se qualcuno ha voglia di vedere il film, che se ne sbatta dei pregiudizi da pseudo-intellettuali-di nicchia (oddio c'è il vampiro, non guardate il film o sarete assimilati alla massa informe e ignorante!) e che se lo guardi pure, e che goda forte, perchè è fantastico.
Non è così facile da digerire, è un film che magari va visto anche due volte. Tratto fedelmente da un libro di De Lillo (che ha lo stesso titolo del film) è strafarcito di dialoghi, a volte lunghi e complessi, ma le riflessioni sul capitalismo, sullo spettro che si aggira per il mondo e che segnerà la fine dei tempi, sono fantastiche. Da alcuni è stato definito come film più acustico che visivo ma secondo me si sbagliano.
Le immagini sono perfette, credo sia uno dei film più belli che  abbiano mai rappresentato la decadenza e al tempo stesso la maestosità di New York. La limousine che si aggira per le strade come un mondo a sè, una bolla ovattata e staccata dalla realtà,  che la sera torna nel suo garage in periferia, ormai ridotta un rottame, la carrozzeria piena di scritte e graffiti fatti dagli anarchici, che riflette le luci fuxia gialle e blu delle insegne dei negozi. Il funerale, accompagnato dai dervisci rotanti,  di una rap star scomparsa banalmente di morte naturale. Il pranzo nel fast food con i manifestanti e il lancio di topi morti sui commensali. Ogni scena è teatrale, composita, piena di dettagli, ti viene voglia di mettere il fermo immagine per guardarli tutti.
Parlerei a lungo di questo film , ma non voglio annoiarvi. Se vi verrà voglia di guardarlo suggerisco solo di ascoltare molto bene il dialogo tra il giovane miliardario Eric Packer (Pattinson) e la sua consulente teorico filosofica Vija Kinsky (Samantha Morton, che adoro, ve la ricordate nel video di Electrical Storm degli U2?). Violento, a tratti volgare, e con un finale incerto, ma almeno ti costringe ad ascoltare e a riflettere un po' sugli strani giorni che stiamo vivendo; è giusto smettere di fingere che non stia accadendo nulla di strano.
L'immagine di questo film che mi resterà sempre dentro agli occhi è quella di un uomo travestito da topo che sale e poi cammina a quattro zampe sulla limousine bianca di Eric, insudiciandola, mentre intorno a lui il caos di una rivolta esplode tra incendi, risse e saccheggi. Alle sue spalle una New York piena di ombre e luci al neon, con i grattacieli intorno che stanno a guardare e i mega schermi pubblicitari che fanno scorrere aforismi ermetici e lapidari sulla fine del mondo.
Una fine del mondo terribile, catastrofica e miserevole per alcuni. Sottile, subdola e silenziosa per pochi altri.
 
"Vogliono distruggere il futuro, perchè sanno che si stà avvicinando troppo in fretta".
Cronenberg, I love you.