Senza musica potrei espletare le mie funzioni
organico-vitali ma le mie interiora si prosciugherebbero. Oggi sto continuando ad ascoltare a ripetizione una vecchia
canzone di Billy Joel “Downeaster Alexa”, come un mantra, non chiedetemi
perché. Per una serie di strani
collegamenti, difficilmente spiegabili,
mi è venuta voglia di riguardare “Departures” di Yōjirō Takita.
Guardando questo film alcune domande si sono attorcigliate nella mia testa , prima
fra tutte: è davvero tutto qui? Cosa succede quando moriamo? Trasferimento istantaneo in una
certa realtà sicura benché non veduta ma solo immaginata? Vaghiamo per un po’
nell’aere’ come il Grande Cocomero dei Peanuts? Quante dimensioni esistono?
Quanti universi speculari al nostro ci potrebbero essere? Le porte della
percezione che noi abbiamo della realtà sono davvero parzialmente chiuse? Si
apriranno mai trasformando la visione di ciò che chiamiamo Unica realtà in
qualcos’altro, in una nuova dimensione che magari potremo chiamare realtà Due?
Ovviamente il film non risponde a nessuna di queste domande
però…
In Giappone la tradizione vuole che la preparazione del
corpo del defunto si svolga sotto gli occhi dei parenti, e che venga eseguita
come un rito, come una vera e propria cerimonia. Questo per rendere onore alla
memoria del morto e restituirgli la dignità che inevitabilmente il processo
mortifero porta via con se. In sostanza il corpo viene amorevolmente
accompagnato verso il suo ultimo
viaggio, o per alcuni, verso ciò che è soltanto un passaggio. Daigo Kobayashi è un bravissimo violoncellista che però è
rimasto senza lavoro perché la sua orchestra si è sciolta, e che per mantenersi
economicamente risponde ad un annuncio di lavoro che preannunciava occuparsi di
partenze. Di quali partenze fossero, Daigo proprio non sapeva. Eppure il nostro riflessivo amico si rende conto di quanto
sia importante mantenere la famiglia e intraprende con serietà il nuovo lavoro,
nonostante le enormi difficoltà nell’avere a che fare con la decomposizione e
il sudiciume che contraddistingue l’ultimo atto della farsa umana. Questo lavoro gli permette di guardare da vicino i comportamenti
degli uomini di fronte al dolore più estremo ed impara ad amare il suo lavoro
osservando la dedizione del suo capo nel compierlo con rispetto e sensibilità. In questo film vengono toccati i tasti profondi della
Perdita, dell’ Assenza, della Mancanza,
del Desiderio e dell’Accettazione. Voler riabbracciare le persone che sono morte è il desiderio
più straziante e lacerante che possa esistere. Non per niente si dice che a
tutte le cose c’è una soluzione tranne
che alla morte. Cosa lasciamo negli altri, quando ce ne andiamo? Daigo se lo chiede. Soprattutto quando scopre che suo padre,
che lo aveva abbandonato molti anni prima, è appena morto.
Se avessi i superpoteri, solo per un giorno, mi piacerebbe
liberarmi dalla matrice e vorrei che i miei occhi fossero aperti per poter
intravedere anche solo per un momento i mille fili incrociati che ci
intersecano e si sovrappongono, quelli vicini e quelli lontani, per poter
magari intravedere un disegno, un progetto che annulli l’angoscia del pensiero
della morte e che mi faccia ridere di essa e della sua inutilità.