Lui, è il padre di Angelina Jolie. Un giovanissimo Jon Voight, bello
come il sole. L’altro è Dustin Hoffman e non ha bisogno di presentazioni.
Siamo nell’anno 1969 (wow) e la città, neanche a dirlo, è New York.
Prendete questi ingredienti , lasciateli miscelare dalle mani esperte
di Jerome Hellman e John Schlesinger, e aggiungendo una delle colonne sonore
più famose del creato (Everybody's talkin' cantata da Willie Nielson) avrete ottenuto un cult movie da oscar (miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura): Midnight Rider, più famoso in Italia come Un uomo da marciapiede.
Jon Voight è un lavapiatti che vive nella provincia. Stufo di una vita
ripetitiva e faticosa tenta la fortuna dirigendosi verso New York, con la
prospettiva di diventare uno gigolò, ma i sogni di gloria durano poco: qui incontra
l’indimenticabile Ratso Rizzo, detto il Sozzo, un giovane Dustin Hoffman assolutamente perfetto
nella parte del sordido ladruncolo italo-americano, ed è insieme a lui che
comincerà una vita di privazioni per la strada.
Il rapporto tra i due è ambiguo (non è un caso che il Sozzo cada
rovinosamente giù dalle scale proprio la
prima volta che vede il suo amico al lavoro con una cliente) ma la cosa che ti
colpisce di più in tutto il film, al di là dei fotogrammi psichedelici in
perfetto stile Easy Rider, è la camminata storpia del Sozzo: un’indimenticabile pagina della storia del
cinema. Pochi riescono a trasformare una camminata in una poesia, in un messaggio semiotico tanto ermetico ma
efficace da racchiudere in se l’intera caratterizzazione di un personaggio.
Dustin ci è riuscito.
Nonostante il film sia molto famoso non voglio commentare il finale,
in difesa di coloro che non lo conoscono e che magari hanno voglia di
scoprirlo. Posso solo dire che io mi sono commossa, e anche tanto. Questo film
è lo specchio dei sogni infranti, delle high hopes pinkfloydiane che sono
atterrate mentre erano in volo, dopo essersi brutalmente scontrate con la
realtà della strada, del freddo e della fame.
Qualcosa però rimane sempre, in questo mondo crudo, ieri come oggi: l’amicizia.
Quella vera, quella che non ti spieghi
razionalmente, che troppo spesso assomiglia all’amore, quella che si sacrifica
e si impegna a far realizzare all’altro i sogni di tutta una vita, quando ormai
non c’è più tempo.
O che, per lo meno, muore
provandoci.