mercoledì 22 maggio 2013

Sei sul pullman e stai andando a lavorare.
Ti viene in mente che è già mercoledì e sei due giorni in ritardo sulla pubblicazione del post quindicinale sul tuo blog.
Te ne rammarichi, perché quello è il tuo piccolo spazio, il momento in cui smetti di essere un corpo che adempie incombenze, e diventi una mente che si racconta.
E come hai già detto, se non ti racconti, non capisci.
Ti stai per avvicinare al centro commerciale, e la periferia si trasforma in campagna, quella campagna un po' imprecisa e zingaresca, nuovi complessi residenziali che vengono su di fianco a mini campetti di grano che verrà su anche lui intriso di smog, tra le cartacce e le buste di plastica che zoticoni senza volto hanno lanciato da automobili in corsa.
Quando arriva all'improvviso, una folgorazione nelle orecchie.


Arriva dalle tue cuffie ma in realtà arriva da molto più lontano: la voce di un ragazzetto cresciuto a Basildon negli anni '80 in una delle cittadine satellite che circondano Londra, una di quelle periferie in cui non c'è niente.
Eppure in quella voce di velluto (che ora l'uomo di 50 anni padroneggia con morbidezza ed eleganza) è rimasta l'eco del vigore adolescenziale e temerario che gli fece cantare Heroes di David Bowie dentro ad un pub davanti ad un giovanissimo Martin Gore il quale, ben lontano dall'immaginare cosa sarebbe diventato il suo gruppetto fissato con la musica elettronica, andava alla ricerca di un cantante che potesse funzionare anche da frontman, vista la netta propensione alla famiglia  e al posto fisso in banca di tutti gli altri membri, compreso se stesso).
La sua voce immatura, ma potente, sfida quella periferia (così vuota, così new romantic) e vince. 
Vince per trent'anni di fila.


La voce calda ti porta in una stanza dove di giorno brucia un bastoncino di incenso, vedi un ragazzo con la camicia bianca e il vassoio in mano e strade strette tra i palazzi, vedi una spiaggia col mare verde blu e le cuffiette bianche abbandonate sugli scogli, un pesciolino incastrato in una polla d'acqua tra le rocce, vedi i bagni di un campeggio con la lotta tra le radio portatili e i corpi accaldati da Giancarlo che ti circondano, ti spintonano (gli occhi vuoti, i corpi pieni) luci intermittenti che ti riportano dentro ad una macchina dove una voce dice 'le prime note sono quelle perfette e dovrebbero continuare per sempre' e nel silenzio della tua stanza, nel segreto della tua stanza riemergi come se uscissi dall'acqua, respiri a fondo riemergendo dal nulla, perché stavi affogando, e non te ne eri accorto.

Ti arriva tutto addosso come un treno, pezzi di una te dimenticata, impressioni provenienti da una vita così lontana che non sembra nemmeno la tua, ma gli odori e le sensazioni sono così vicine che se solo allungassi la mano le potresti toccare. Ti arriva tutto proprio quando arrivi alla tua fermata, e devi scendere.

E allora ti ritagli 10 minuti di tempo per dire a tutti quello che hai sentito, perché sai che anche se ognuno sentirà in modo diverso, vibrazioni differenti che rimandano ad altrettanti universi, sai anche che la risposta giusta alla disumanizzazione e alla desolante tristezza dell'oblio è quasi sempre CONDIVIDERE.
Ma lo fai parlando di te alla seconda, perché la tua immagine in queste due settimane è passata troppo in fretta in mezzo alla vita e non sei riuscita ad afferrarla.




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